NOTTE D’AGOSTO di Alessandra Siddi
Anche il fuoco ha chiuso gli occhi
arrossati di vino e fumo, in questa notte stanca. L’ho visto tradito dal sonno,
perdere luce e calore, morire a momenti. Polvere di scintille rosse e sabbia
hanno danzato col vento.
Luna che ti nascondi dietro il velo nero
delle nuvole, libera i tuoi raggi che io possa vedere cosa c’è dentro questa
notte d’agosto.
La donna era rimasta sola, a custodire
la brace. Il vento sibilava tra le tende del campeggio, come le volesse
strappare. Poteva portarsele via, non le importava. Tutti dormivano come se
niente fosse, lui russava. Quanto coraggio a rompere il canto del vento!
Fiati nauseanti dal vino, sonno pesante,
sudore e zanzare. Accanto ai cespugli, bottiglie di vetro e la saliva ancora
gocciolante.
Non vedo attorno a me. HO creduto alla
luce eterna di quel fuoco incantato e sono rimasta sola, in questo buio. Il
vento mi riempie il naso di mare e copre l’odore del vino che esce di certo
dalla sua bocca, mentre beato riposa, largo, sul mio spazio. Non voglio entrare
nella sua tenda, non voglio guardare la sua pelle umida.
La donna cercava la luce, ma continuava
ad inciampare su corpi, abbandonati al sonno. Era ben sveglia, lei. Sollevava
lo sguardo verso il cielo. Incredula. Sentiva di poter parlare a quel buio. Di
poter sussurrare pensieri, a quel vento.
Ma aveva bisogno di sapere dove mettere i passi. Solo una piccola luce.
I pipistrelli avrebbero potuto incastrarsi tra i suoi capelli. I grilli
saltarle sulle braccia. L’uomo spingerla dentro la tenda.
IL vento soffia tra le fessure, strani
ululati. Lui si muove nel sonno, emette suoni incomprensibili, forse pronuncia
il mio nome o forse è solo questo vento che mi solletica le orecchie. Ho temuto
si fosse accorto della mia assenza. Invece eccolo, ricomincia a russare. Mi
vien voglia di ridere forte, perché lui non mi fa paura, non più. Sarò lontana.
Lancerà pietre sull’acqua a rimbalzare sull’onda. Ma non riuscirà a farmi del
male. Troppo leggere per lasciare un segno. Troppo pesanti per arrivare
lontano.
Il mare lo sento. Una ninna nanna che
coccola la notte. Dove sei? Posso trovarti? Spingi più forte sulle tue corde e
guidami sulle note dolci della tua acqua.
La donna camminava a piedi nudi lungo il
sentiero di sabbia umida che avrebbe potuto avvicinarla al mare. Seguiva
profumi intensi, istinti primari di suoni e respiri. Aveva legato i capelli.
Tra i cespugli le gambe si graffiavano. Avrebbe dovuto coprirle.
Eccola. La grande spiaggia. Immensa.
Vuota. Illuminata anche sotto il cielo nero. Da dove viene la tua luce? Fa
freddo sotto i piedi nudi, ma voglio camminare sull’acqua della notte. Voglio
specchiare il mio viso sull’acqua della notte.
Il mare, elegante e maestoso,
nell’attesa fu vinto dal sonno. La donna si era avvicinata e delicate, le sue
mani, accarezzando il pelo dell’acqua l’avevano svegliato. Ma non riuscì a
riprender sonno. La sua presenza, quella notte, l’agitava. Preso da strani
sussulti sembrò diventare cianotico, mentre il respiro si faceva affannato, lei
si era immersa, fino alla vita. Lui l’aveva avvolta di onde candide.
Avrebbe potuto trascinarla nei suoi
fondali.
E’ follia. Immergersi senza luna in
questo spazio infinito. E’un contatto impietoso, l’anima segreta di quest’
acqua scura, ma tiepida, senza tempo.
Potrei fare ancora qualche passo, in
questa notte senza strada. Potrei provare a staccarmi, galleggiare, dondolando
sul letto morbido
delle onde. Potrei sparire, inghiottita da
questo fondo nero di seppia, o scivolare confusa, nel cielo scuro di questo
spazio senza confine.
La donna, ormai nuda, avanzava verso il
cuore del mare. Lei e la sua pelle bianca, lei e i suoi capelli di alghe.
Nell’avanzare, salite e discese
impetuose. Avrebbe potuto pentirsi e ritornare seduta accanto a un fuoco
spento,a una bottiglia di vino.
Vorrei arrivare a quella luce. E’lontana,
lo so. Forse più di quanto creda. Non so da dove venga. Potrebbe essere una mia
illusione, una suggestione, un miraggio, in questo oceano di buio. Ma voglio
crederci, voglio arrivarci. Potrei fermarmi a momenti a riposare, potrei
poggiare il dorso sulla schiuma dell’acqua e respirare. Senza fretta. Senza
paura.
Il tempo. Noncurante, indifferente. Ne
era passato tanto. Ma lei avanzava come un frutto del mare. Verso la luce.
Briciole di sole sull’acqua, a formare una chiazza scintillante. Avrebbe potuto
dissolversi all’alba. Lei lo temeva. Non c’era molto tempo. Era stanca.
Infreddolita. Avrebbe potuto perdere peso e diventare parte del mare, acqua
verde smeraldo, pietra lucida a striature madreperlacee,sulle mani dei bimbi,
estasiati…
Non voglio morire proprio adesso. Non
voglio che il mare mi ingoi. Sono vicina, più di quanto creda. Se l’alba
dissolverà quel raggio di luce, il giorno mi indicherà un altro approdo. Forse
uno scoglio affiorante. Forse la schiena scivolosa di un cormorano. A
cavalcioni mi porterebbe via. Non voglio ritornare indietro. Non voglio
guardare la sua pelle umida.
Anche il mare, dopo una notte insonne,si
era assopito. La donna poteva intuirne il fondo adesso. Trasparente, libero.
Scivolava ormai come medusa, rilassata e
pronta,quasi acqua di mare. Poteva vedere il cielo. Labbra invisibili avevano
succhiato il nero della notte. Vene rosa di nuvole ad annunciare l’alba.
Sotto l’acqua il suo corpo, bianco. Le
sue gambe, lunghe e armoniose, come la corsa dell’onda. L’avevano portata fin
lì. Dopo la nuotata di una vita.
Lasciami piangere. Che i miei occhi,
ancora, liberino grani di sale. Lascia che l’acqua rimuova residui di pena. Che
possa guardarti limpida, come il chiarore di questo mattino.
Lasciami entrare.
Sarei potuta sparire, inghiottita dal
mare.